La mia scarsa maturità e la memoria che oramai latita da tempo mi porta a condividere con voi alcune considerazioni sul tempo.

La prima considerazione è che gli anni che si sommano tendono a far si che il tempo che scorre, tenda a scorrere sempre più velocemente e quello che una volta era un tranquillo sabato pomeriggio di noia diventa un frenetico week-end all’insegna del dover fare, finire, pensare a qualcosa. Tralasciando, per un momento, la frenesia implicita e gli affanni legati al tempo che dedichiamo al lavoro.

Mi riferisco a quello che una volta era il tempo libero. Le vacanze.

Questa estate per l’ennesimo anno è stata vissuta con l’ansia del non farcela: mi spiego meglio.

Ogni anno mi riprometto che l’anno successivo dedicherò almeno un paio di settimane al riposo assoluto. Al distacco digitale. Al distacco anche da qualunque tipo di preoccupazione. La parola che mi rimbalza fra i quattro neuroni che ancora ho attivi è solo questa: distacco.

Assieme alla parola distacco ne rimbalza un’altra: credici. E’ sarcastica.

Fa parte della mia indole cacciarmi sempre in qualche avventura, permettere a terzi di incastrarmi in peripezie più o meno tragicomiche. Cercare sempre qualcosa con cui tenere occupata non solo la mente ma, spesso e volentieri, anche il fisico.

Quest’anno sono riuscito a staccare pochissimi giorni. Giorni che sono volati. Le ore sono passate come fossero stati minuti e anche quando potevo, non riuscivo a rifarmi di tutto quell’ozio che mi ero ripromesso ancora l’anno prima.

Sarà per l’anno prossimo. Mi ripeto. Inutilmente.

Per fortuna che ho dei validi mezzi da cui trarre conforto. Per me, almeno.

Ho imparato che anche se non sono nel silenzio del mio angolino o azzannato da qualche zanzara tigre in giardino, i colori, i cartoncini, le tele, l’immancabile musica e qualche sana pausa nella pausa mi permettono, mischiati tutti assieme e senza alcun senso logico, di godermi qualche minuto di riflessione, di affrontare un libro (zeldin e marenco sono lì ad aspettarmi oramai da quasi un anno, ma vedo che non sbuffano).

La mente vola e anche se sta lavorando a tutta birra, sento che si sta ristorando e anch’io comincio a sentire che gli affanni della vita di tutti i giorni alla fine fanno parte di me e non ci posso far nulla se sono un tutt’uno con i rari momenti in cui riesco a fare quello che più mi piace. Oziare.

Senza tirare fuori i pistolotti campanilistici che, sinceramente, hanno stancato. E senza andare ad analizzare approfonditamente il significato delle parole o il modo in cui vengono scritte sarebbe utile capire da cosa nasce questa nostra pulsione. Da giovani l’ozio sembra quasi parte integrante della propria esistenza e ha la forma della noia, quella sensazione legata al fatto che nonostante il continuo ricercare una via di fuga sia fin troppo comodo fare sempre le solite cose, ostentare una abitudinarietà. E a questa abbinare una sorta di malessere. La noia appunto.

Ma la noia spesso è collegata anche al fatto che queste abitudini ci lasciano ampi spazi di riflessione. Sta a noi sfruttarli e capire che è proprio grazie alla noia se riusciamo a creare degli schemi che consentano di evadere. Per poi ricadere in altri schemi sempre ricorrenti ma diversi.

La vita che costruiamo è fatta di eventi più o meno ripetuti: una sequenza di fatti che componiamo magari involontariamente e che influisce sul nostro modo di pensare. Spesso siamo chiamati a prendere delle decisioni su due piedi. Ma pochi riescono a vedere che quelle decisioni, per quanto siano veloci, sono sempre il frutto di un percorso.

Io non so dove stiamo andando. So solo che difficilmente avrò una qualche influenza sulle decisioni degli altri, sul modo di vedere che hanno gli altri. Che è, più o meno, quello che succede a me. Il mondo continua ad andare avanti, con o senza di noi. Non so se ve ne eravate accorti.